Lo sai cos’é la Pianura Padana?
Quel lembo di terra racchiuso come in uno scrigno tra le Alpi e gli Appennini?
Lo sai com’è?
Piatta come una linea retta, suddivisa in geometrie variabili, i cui confini sono gomitoli srotolati d’acqua che hanno dissetato secoli di storia continentale, dando da mangiare a uomini e animali, o meglio dire all’uomo-animale, a quell’animale dell’uomo.
Questa non é. Questa sarebbe.
Ma se vuoi sapere cos’è realmente la Pianura Padana vieni una mattina quassù al Corno alle Scale e ammirala, quando puoi.
Quando puoi vedrai, da quest’Alpe dell’Appennino, le vette più alte del Continente, l’Altopiano di Asiago, il Monte Baldo, le prime vette Altoatesine.
Quando il vento spazza la Pianura, il Corno é un binocolo naturale, dietro la Croce si apre l’Europa.
Ma la maggior parte delle mattine invece questo é lo scenario che si ritrova.
Non che non tiri vento.
Tira, eccome se tira.
A più di cento all’ora, una mano sulla reflex, l’altra sugli occhiali. Tira a una quota tra i 1700 e i 2000 metri. Qui siano a 1945.
Questo vento non spazza, schiaccia.
Schiaccia la nebbia autunnale impregnata dei nostri consumati vizi, smog, caldaie, teleriscaldamenti o solo vapore acqueo, come potrebbe dire un Sindaco a caso e ne fa un tetto, invisibile dal basso, ma ben visibile dall’alto.
Mentre laggiù, la Domenica mattina sembra di sole e aria pulita, quassù, sdraiati sull’erba, bruciata dalla siccità agostana, a scattare questa foto ci si accorge che quel tetto cumuliforme, non é poi un tetto, ma é uno strato compatto di polvere e chimica che si respira ogni secondo, di ogni santo giorno. E ringraziamo il Santo.
Ti alzi senza guanti e senza cuffia e ti godi questo gelo invadere ogni cellula del corpo.
Prosegui a stento, in discesa lungo il crinale, sperando che i sassi resistano al vento e non esageri se dici che li vedi muovere.
Continui a guardare a Sud, la Croce del Corno si fa più piccola, mentre l’orizzonte, più nero.
Lo guardi venirti addosso, deviare e svanire sulle acque dello Scaffaiolo, alzandole e formando un arcobaleno che si disperde nel cielo.
Il vento non si dissolve e non si disperde, ti spinge contro il costone della montagna verso la Toscana.
Non ti schiaffeggia, ti cazzotta proprio.
Le mani sono bianche insensibili, il viso rosso paonazzo.
I jeans non li sento addosso, cerchi di muoverti veloce, pensi di correre ma in realtá stai andando in slow emotion, anzi forse é un vecchio replay dei vecchi videoregistratori di ultima generazione, ultima del 1990.
Fossi un’aquila apriresti le ali e ti faresti portare via, ma oggi quassù non ci sono neanche le aquile.
La violenza del vento é troppa, violenza non solo fisica. Come pugni arrivano le sue folate, pugni che parlano, pugni che domandano.
Possiamo continuare così?
Case, quartieri, cittá, strade, nuove autostrade, inceneritori, termovalorizzatori, teleriscaldamenti.
Produrre, produrre, produrre.
Vendere, vendere, vendere.
Usare, consumare, buttare, bruciare.
Uscire di casa, guardare il cielo pensare che sia azzurro, invece é nero.
Nero come il futuro che ti stai disegnando. E che stai disegnando a tuo figlio.
É veramente benessere?
Pensare ad un mondo diverso non é certo utopia, cominciare a realizzarlo é solo volontá!
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